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Architetto Maurizio De Caro


Biografia

Lo spazio vissuto e percepito ha diversi livelli di articolazione da quello della cellula abitativa a quello della segmentazione urbana, come interpreta questa continua commistione fra i luoghi nella contemporaneità e come può oggi l'architettura dare risposte che integrino i due estremi?

MAURIZIO DE CARO. Una partitura complessa
Immaginiamo di poter paragonare una città ad una partitura composta da diversi autori  e in epoche diverse.Ogni nuovo elemento pur rappresentando una novità armonica,vive come suggestione sonora interagente in un'autonomia semantica e concettuale.Ogni sequenza fluttua in perpetuo divenire nel mare magnum delle trasformazioni.Nel flusso solo apparentemente confuso di suoni,non finiti,infiniti,la città è questa composizione che non ha finale che vive dall'interrelazione culturale di ciascuna delle parti che la compongono. Fuor di metafora ogni città è composta non solo dalla sommatoria delle sue parti ma soprattutto dalle cadenze dei suoi vuoti,dalle permeabilità urbane imprevedibili,dalle pause nel discorso pianificatorio,dagli improvvisi silenzi estetici che arricchiscono il suono evidente di ogni architettura,in ogni luogo e di qualsiasi dimensione. Città e musica vivono di consonanze e di dissonanze,di rigidità e di imprevedibilità,di origine e di destino,e naturalmente su questo gigantesco monumento umano,regna sovrana l'interpretazione,la nostra articolata quotidianità è in tutto quello che vediamo perchè lo spazio a qualsiasi dimensione vive esclusivamente nell'incanto della percezione, solitaria, personale. L'architettura e il progetto dello spazio urbano si materializzano nella speranza di essere condivisi,di produrre "luoghi comuni",di comprimere le contraddizioni delle parti nell'espressione dell'identità,unitaria,condivisa. L'io che percepisce,costruisce la molteplicità imprevedibile della pluralità indifferenziata che organizza culturalmente l'idea di contemporaneità urbana.

Lei sta operando sulla trama diffusa che circonda la città di Milano inserendosi in quel continuo susseguirsi di borderline in cui sono incastonati frammenti di storia e cultura dell'abitare locale, come riesce a coniugare questi due aspetti attraverso il suo mestiere di architetto?

MAURIZIO DE CARO. La linea del confine è il luogo dove tutto inizia e al contempo finisce(o si modifica),ogni periferia è il centro di qualcos'altro,e nella marginalità si vive il dramma della crisi dell'urbanesimo contemporaneo,quello che ha creduto nella sovranità del progetto rispetto all'erotismo dell'improvvisazione e dell'autodeterminazione dello spazio.
La linea del bordo rappresenta la rivincita dell'emozione sulla ragione,la sconfitta dei processi definiti sull'imprevedibilità del neo-luogo,che è molto meglio dell'asfittico e cinico non-luogo:è il punto dove l'essere umano "abitatore volontario" di città puó essere colto ancora da stupore.La storia e la cultura di un luogo sono la sommatoria dei racconti di uomini che hanno scelto quello spazio e quel tempo per stabilire una dialettica tra città e campagna,tra vuoto e pieno e tra i significati che a queste parole/vocazioni hanno voluto dare.Se vogliamo giocare con la teoria delle interpretazioni, potrei dire:"in principio era il luogo,solo, e in assenza di architettura viveva benissimo ma l'uomo lo scelse tra gli innumerevoli tracciati,gli diede una giustificazione culturale.Quel luogo divenne il primo lemma di un nuovo catalogo,divenne esso stesso parola,pensiero,ecco perchè in principio era il logos"

I cittadini di questi luoghi, i territori a trama diffusa, sono sempre più erranti, sembra abbiano perso la stanzialità dei piccoli centri, crede che un intervento come quello che sta operando nel vecchio quartiere Ponte Lambro rispecchi il bisogno di muoversi e quello di fermarsi?

MAURIZIO DE CARO. L'ossessione del movimento e l'enigma della stasi
Non siamo capaci di fermarci davvero,non troviamo pace in nessun luogo e purtroppo in nessuna risposta,nel viaggio c'è la pervicace metafora del tracciato che racchiude l'essenza dell'architettura come prassi e come teoria.Vado verso un punto geografico sconosciuto e determino un progetto di incamminamento,mi muovo per raggiungere un qualsiasi scopo piú che qualsivoglia meta.Devo andare.Devo capire cosa c'è oltre o se preferite dentro, dietro, sotto,dopo la siepe,tra le viscere di una cadavere(se imito il dr.Faust),vivo solo perchè col movimento immagino il cambiamento,e quello che esiste(il vecchio quartiere di Ponte Lambro),non è abbastanza,per cui ho disegnato un altro quartiere,grande come quello esistente(4500 abitanti),alla fine o all'inizio del viaggio dentro Milano.Un progetto inutile,sospeso nel tempo,macinato da altre professioni razionalizzanti,che vuole essere la risposta contemporanea al sogno del quartiere di social housing piú famoso della storia.Mi riferisco al luogo auto-costruito dai barboni organizzati da Totó il buono in "Miracolo a Milano,di Vittorio de Sica.La mia architettura non ha la pretesa di "creare la casa",ma si limita a segnare il limite tra il raggiungere un ipotetico luogo culturale,e quindi neo-urbano,e l'andare,oltre,verso nuovi modelli di organizzazione sociale della città,una proposta letteraria e utopistica,low cost,come piace ai comunicatori retorici del nostro martoriato presente.Nello spazio di questo nuovo grande quartiere urbano,voglio costruire il luogo enigmatico della stasi,e far viaggiare i nuovi abitanti verso mete centripete.

l nuovo complesso residenziale che sta pensando per il vecchio quartiere Ponte Lambro è pensato per creare e intervenire sul benessere abitativo e sulla qualità urbana, crede che sia possibile incidere sulle abitudini, i comportamenti e le aspettative delle persone attraverso un progetto?

MAURIZIO DE CARO. Vivere bene (con l'architettura)
Il mio studio si sta occupando di molti progetti residenziali,alcuni di grandi dimensioni,altri piú modesti. Ho sempre creduto che l'architettura potesse aiutare a creare ipotesi di sviluppo di uno spazio naturale,costruendo potenzialità esistenziali, pregevoli. Senza scomodare le deliziose e tenere utopie del novecento,non voglio progettare un “uomo nuovo” che possa abitare in un luogo pregevole o salubre,o ecosostenibile(parola sempre piú insostenibile,seconda solo all' oscena domotica). Mi piacerebbe dimostrare che l'ambizione formale e purtroppo formalistica della contemporaneità,oltre a non migliorare la vita di nessuno è totalmente superflua per cui,costruire come nel mio caso quartieri di presunta estetica "spinta",serve a progettare nuovi modelli di adattamento,nuove storie per nuove comunità che potranno diventare Corviali e Scampie,ma che ci possiamo fare,noi architetti,qualcuno deve pur costruire alternative,dire che ció che è puó essere migliorato,o semplicemente cambiato.Da qui a realizzarlo ci passa la storia,e spesso basta la cronaca per farci dimenticare milioni di presunti capolavori,che volevano costringere a vivere meglio chi si aspettava tutt'altro.



Crede si possa attraverso l'architettura creare un'impronta su cui far crescere nuovi complessi abitativi e di conseguenza nuove esperienze del co-abitare umano?

MAURIZIO DE CARO. La vita nuova
Certo che dobbiamo ri-cercare, e inseguire intuizioni che possano creare le condizioni per qualsiasi tipo di trasformazione,e non dobbiamo avere paura di sbagliare,noi progettisti dobbiamo creare le condizioni per una gigantesca autocritica e per una seduta collettiva di auto-analisi. Abbiamo creduto che la forma stramba,strana,diversa,complicata,fosse interessante perchè anomala,e ci siamo forzati ad una impossibile dodecafonia architettonica,creata da un computer,con l'ausilio marginale dell'uomo. E si sa una macchina non deve scusarsi, perchè la colpa è dell'omino digitale che ha dimenticato di guardare fuori dalla finestra,non ha sentito i rumori,non ha visto come si organizzavano gli altri uomini(a-progettuali ma enti progettanti). Ora voglio costruire grandi o piccole residenze,se è il caso di farlo o progettare di lasciare quei luoghi cosí come sono perchè l'esistenza nello spazio non patinato,e mai fotografato puó essere piú accogliente. Per le nuove forme di socialità di co-housing, co-working e altro,c'è un attenzione che puó diventare architettura,ma anche antropologia culturale,da cui giungono messaggi confusi ma cui dobbiamo prestare maggiore interesse. La vita nuova,ha bisogno di buona architettura,ma non troppo, perchè la cerebralità del sublime codificato la rende arida,astratta,ansiosa.

Etica ed estetica oggi sembra si siano unite in una visione sostenibile dei luoghi abitativi, quali strade sta percorrendo nel suo progetto per dare corpo a un aspetto così necessario e scottante dell'architettura contemporanea?

MAURIZIO DE CARO. L'inganno dell'estetica e il richiamo dell'etica
Etica ed estetica sono cosí diverse come categorie che c'è voluta una brutta Biennale di qualche anno fa per vincolarne la dialettica e i pesi delle corresponsabilità nel fare architettura. Come posso dire:faccio l'architetto ma non per i dittatori,per gli speculatori,per la criminalità organizzata,voglio che il bello sia espressione del buono(sai la novità filosofica). Perchè mai la ricerca estetica dovrebbe essere esente da moralità,quindi mi pare retorico il ricongiungimento coatto “very glam” di questi anni. Dice il saggio:solo una buona politica puó progettare una buona architettura,ma la risposta ce la ritroviamo a Roma,Como,e in tutti quei luoghi dove l'etica traballante di variegati regimi secolari o transeunti,hanno raccontato un'altra storia. Voglio rischiare di affermare che l'etica puó plasmare l'estetica oppure guardarla,ma l'estetica corre piú veloce di ogni sua componente e nell'ansia del bello si giustificano tutte le crisi o le manchevolezze morali. Se la bellezza non ci salverà figuratevi quanto puó glorificarci la morale,eppure in questo pentimento pinocchiesco (ricordatevi Prezzolini:"chi capisce la bellezza di Pinocchio,capisce l'Italia",citato nell'imperdibile saggio di Suzanne Stewart-Steimberg,L'effetto Pinocchio)c'è una speranza concettuale e un vincolo ideologico. Etica o estetica non sono pari,ma già cercarne una collocazione all'interno delle nostre prassi progettuali,dimostra il fallimento della teoria dell'architettura perchè lo spazio dell'uomo non puó che essere politico e dunque composto da etica e da estetica,le percentuali decidetele voi.

Come si pone il suo pensiero in relazione alla diverse esperienze europee che stanno optando per una salvaguardia del territorio e dei suoi spetti morfologici in cui l'architettura diventa un segno minimo per lasciare al paesaggio tutta la sua forza espressiva?

MAURIZIO DE CARO. Paesaggi culturali e cultura paesaggistica
Interessante è il tentativo di far coabitare forzosamente l'architettura(progetto culturale)e il paesaggio(imprevedibilità della natura),perchè denota ancora una volta la volontà faustiana di costruire sulla terra una potenza che appartiene al dio,o agli dei se siete meno credenti o darwiniani.Il complesso dei territori antropizzati esprime la volontà di costruire un ordine alternativo a quello delle stagioni,delle semine,delle apocalissi ambientali e questo ha permesso all'uomo di colonizzare una importante percentuale del suolo del pianeta, consumandolo,sbranandolo,violentandolo al punto che la produzione e lo sfruttamento delle risorse ha superato il punto del “non ritorno”,una potenziale degenerazione. cioè cominciamo a perdere potenza,il pianeta non è piú in grado di sostenere il nostro sviluppo. La volontà di potenza(scusate la citazione),si è congelata nella incapacità di mettere un freno a questo sconsiderato viaggio verso la piú sconvolgente delle contaminazioni:un pianeta artificiale,duplicato tecnologico e digitale di quello originario.misere mi sembrano le corse al riparo,salviamo i territori dalla cementificazione,e ri-naturalizziamo il pianeta. E come?consumando meno?,usando la metà delle risorse?Oppure dopo millenni possiamo riscoprirci eco-solidali per salvare il salvabile e continuare a dare senso e motivazioni alle nostre presunte abilità progettuali.
il mondo è saturo di sciocchezze,ma gli sciocchi che motivo hanno di preoccuparsene?

In quale misura crede possano intervenire i materiali da costruzione per assecondare un idea di progetto complessa come quella che sta affrontando composta da talmente tante variabili che spaziano da quelle umane a quelle paesaggistiche, da quelle antropologiche a quelle di salvaguardia ambientale?

MAURIZIO DE CARO. La pelle e i sensi.
I materiali sono l'ultima speranza dell'architettura contemporanea. Rappresentano la vera occasione di riscatto delle estetiche cialtronesche che hanno rimpinguato le moribonde riviste di architettura. Oggi è tempo per ridare dignità alla pregevole ricerca sulle tecnologie dei nuovi materiali e costruire occasioni piú eclatanti per quelli classici della tradizione. E’ nell'uso concettualmente scorretto che si possono trovare le vere tracce sperimentali di una nuova possibile stagione della progettazione. Nei miei progetti alla scala urbana il ruolo dei materiali sarà determinante, perchè voglio scrivere un racconto sull'uso poliedrico dei materiali e dell'importanza degli stessi nel processo compositivo,un'indagine sulle pelli architettoniche e sulle loro funzioni poli-sensoriali,in questa riorganizzazione dei concetti originari dell'estetica dell'architettura intra-vedo un tragitto che potrebbe sorprenderci,ridare lo stupore perduto al nostro bellissimo lavoro

Le superfici ceramiche possono avere un ruolo in tutto questo?

MAURIZIO DE CARO. L'arte di fabbricare con l'argilla
Non posso negare il valore simbolico prima che tecnologico delle superfici ceramiche perchè nell'etimologia della parola ceramica,si nasconde la saetta e il fulmine,di ció che arde,seguendo la matrice sanscrita e dunque non posso non usare come materiale principale la sintesi piú alta del fuoco, inteso come forza,come sorpresa e come imprevedibile vivacità di tracciato. Questo composito universo di materiali mi affascina sia costruire facciate come pelle naturale che, come segno/rivestimento urbano per i flussi antropici,pubblici e privati. Per le infinite gamme di porosità/rugosità di animali arcaici piegati al volere dei progettisti,e colori smaglianti o compressi nelle neutralità. Un mondo antico ma futuribile, da scoprire, in cui perdersi,senza aver paura di non trovare la strada del ritorno. Tra questi materiali naturali mi sento al sicuro, mi sento a casa mia: in Europa.

Architetto Maurizio De Caro
Architetto, teorico e critico dell’architettura.
Biografia: https://www.floornature.it/architetti/biografie/maurizio-de-caro
http://www.mauriziodecaro.net/

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